Con i piedi, con i piedi, ciao ciao

Gli erroracci dei portieri nei scorsi giorni riaprono il dibattito sulla questione retropassaggi e costruzione dal basso: casi isolati o un vero e proprio problema e culturale?

“Avete presente la teoria del piano inclinato? No? Ve la spiego. Se mettete una pallina su un piano inclinato la pallina comincia a scendere, e per quanto impercettibile sia l’inclinazione, inizia correre e correre sempre più veloce. Fermarla, è impossibile”
(Chiedimi se sono felice)

Citiamo Aldo, Giovanni e Giacomo per raccontare -brevità permettendo- ciò che ha portato (anche) ai disastri di Buffon, Radu e Meret nell’ultimo turno di campionato. La storia dell’ eterno odio/amore tra il ruolo del portiere e il gioco coi piedi affonda le radici nel mondiale casalingo, quello delle notti magiche di Totò Schillaci. Il protagonista di questa storia è Patrick “Pat” Bonner, leggenda dei pali dell’Eire, che a Marassi parò il rigore decisivo di Daniel Timofte, eliminando la Romania ai quarti.

foto BBC-Getty

Palermo, domenica 17 giugno 1990. Alla Favorita l’Irlanda, reduce dall’ottimo 1-1 contro l’Inghilterra di Gazza Gascoigne, punta alla posta piena contro il modestissimo Egitto. E’ un assalto all’arma bianca, che solo le parate di un monumentale Ahmed Shobair riescono a neutralizzare. Passano i minuti, e la frustrazione può trasformarsi in paura. Ecco allora che Pat Bonner, leggenda tra i pali dell’Eire, comincia con la più classica delle meline. Palla al difensore, di nuovo al portiere, e quando si avvicinano gli attaccanti dei Faraoni, ecco che Bonner la prende serenamente in mano. Per poi ricominciare la giostra.

Per stessa ammissione dell’irlandese, questo giochino frutta sei minuti di gioco persi, oltre alle punte egiziane ormai demotivate ad avvicinarsi all’area di rigore. Non poteva durare una situazione simile. Non tanto per lo spettacolo (il dominio delle pay-tv era di là dal venire), quanto per un fattore di fair play. La Fifa, o meglio l’Ifab, riscrisse le regole. Era il 25 luglio del 1992. Nel frattempo, la Danimarca di Schmeichel e Brian Laudrup vinse un Europeo, e lo vinse anche con questi trucchetti che, parafrasando una pubblicità degli Adidas Predator degli anni Novanta: molto legale, poco leale.

La fine del gioco con le mani su passaggio del compagno. Una vera rivoluzione, a cui il Milan di Baresi -parole sue- “era già preparato”. Il resto è storia. L’evoluzione del ruolo del portiere e il suo assomigliarsi sempre più all’ultimo dei terzini, più che all’ultimo baluardo. Si è evoluta la tecnica, si è evoluta la tattica, il gioco è sempre più offensivo e anche il portiere partecipa all’azione. Una rivoluzione che parte da lontano (in realtà anche Dino Zoff, per dirne uno, al tempo usava il trucchetto del retropassaggio) e lontano è arrivata.

Manuel Neuer ha portato all’estremo il cambiamento di quello che un tempo era un vero e proprio sport nello sport, anche se già la scuola latinoamericana aveva dato tanto da studiare per i futuri numeri uno. Jorge Campos, uno che giocava col numero nove. Josè Luis Chilavert, Rogerio Cenì e Renè Higuita. Un tentativo di spezzare la noia delle partite, ed essere l’undicesimo uomo a tutti gli effetti nello scacchiere. Per tentare di volare in alto, qualche caduta rovinosa la devi mettere in conto, certo. Tipo quella -per l’appunto- proprio di Renè Higuita e proprio a Italia ’90, che costò l’eliminazione alla Colombia.

Cadute rovinose che, miste alla tendenza di giudicare chiunque senza aver messo mai un paio di guanti nemmeno in parrocchia -tendenza portata in trionfo da Internet e dal Villaggio Globale, in cui anche lo scemo di questo Villaggio può dire la sua- gettano benzina sul fuoco della valutazione dei portieri. E non c’entra nemmeno tanto il fatto che un Buffon, che al momento della riforma aveva 14 anni, fa gli stessi errori di un ’99 come Donnarumma. Non è dunque un discorso di scuole di pensiero o di generazioni di numeri uno.

Oltre alle naturali conseguenze sulla preparazione dei portieri, emergono sul campo quei risvolti psicologici di cui nessuno parla. Risvolti che però emergono dirompenti sia nel prosieguo della partita, sia nelle gerarchie di squadra e naturalmente nella carriera del portiere. Questo già accade dalle giovanili e dalle categorie dilettantistiche. In altre parole: il portiere che spazza il pallone viene visto malissimo, perché ormai ogni azione è buona per “costruire dal basso”, come va tanto di moda oggi.

Il portiere che rinvia il pallone (non necessariamente in tribuna, ma anche solo a centrocampo per alleggerire la pressione) rischia il posto a favore di chi è più tecnico e può addirittura mandare gli attaccanti in rete, come nel caso del numero uno del Manchester City, Ederson: un vero e proprio numero dieci mancato. Nel calcio moderno aumentano i retropassaggi, aumentano i rischi. Può capitare a chiunque, perfino ai fuoriclasse. Fuoriclasse, che però sanno anche il valore di un campanile a centrocampo, a preservare le coronarie dei tifosi.

foto Chicchecalcio

 Fioccano gli errori, si perdono partite, a volte i campionati, come negli spettri materializzati di fronte a Ionut Radu. Con l’aggravante di avere, da gregario, il carico di tonnellate di eredità -seppur temporanea- di un Samir Handanovic. La pressione culturale della costruzione dal basso fa sì che si eseguano gesti tecnici senza averne le qualità, sottovalutando l’avversario. Radu sicuramente sbaglia a non calciare, ma l’errore vero è di Perisic: non vede Sansone e perché è innaturale appoggiare un pallone da sinistra col piede sinistro.

Meret che fa la frittata contro l’Empoli è il classico errore di sicurezza, certo. E’ però anche un incartamento dovuto alla pressione alta. Anche qui, con due attaccanti toscani in area, l’aver appoggiato il pallone al portiere anziché a Malcuit è l’inutile esasperazione di concetti troppo difficili da eseguire anche in serie A, e mai di sicura riuscita.

L’unico che davvero non ha attenuanti è Gigi Buffon. Anziché aprire di piattone alla sinistra, cerca di cambiare il gioco con un piede che non è il suo. L’attaccante ha il merito di crederci, e in ogni caso allargare verso il portiere è qualcosa da farsi solo se il terzino è pressato con le spalle alla propria metà campo. Anche qui, tuttavia, il gesto dell’ex portierone azzurro denota ciò che è a metà strada tra la sufficienza, la deconcentrazione, e quella pressione indiretta del portiere che deve essere per forza coinvolto nell’azione.  

Si dice spesso che certi incontri di altissimo spessore (City – Real è solo l’ultimo in ordine di tempo) siano quelli “da far vedere nelle scuole calcio”. Perché mai, invece, non far vedere un Donnarumma, un Padelli, un Buffon, o chi vogliate voi…e proprio dalle scuole calcio, cominciare a pensare che in fondo, il portiere debba anzitutto parare?

Valerio Campagnoli

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