Il nono girone dei Mondiali

Quello – come da tradizione – delle escluse di lusso. Ci siamo noi e tante altre, e forse i gironi fantasma sono più di uno.

Girone I di Imola, dunque. Non siamo ancora alla nuova era dei Mondiali a 48 squadre, e noi che sfottevamo tanto questa proposta avremmo ben poco da ridere e tanto da ringraziare. Ringrazieremmo noi e tanti altri in giro per il mondo. Vuoi perché certe formule di qualificazione sono oggettivamente da rivedere: per quanto Bonucci abbia perso una buona occasione per non passare da rosicone, è assurdo che non sia premiata la continuità dei risultati, rimandando tutti i discorsi alle forche caudine della gara secca.

Vuoi perché, semplicemente, fa male sempre e comunque vedere i grandi nomi fuori. Sono due edizioni iridate senza di noi (a cui aggiungere i terribili Mondiali in Sudafrica e Brasile), ma anche la Francia -prima del trionfo casalingo nel ’98- scontò Italia ’90 e USA ’94, castigata dalla saetta del bulgaro Kostadinov nel cuore dei minuti di recupero. Che dire dell’Olanda, poi? Sembra impossibile, ma i forfait degli Oranje sono piuttosto frequenti: 1982, 1986, 2002, 2018. Qui a sinistra, l’Irlanda che manda a casa Davids, Van der Sar, Makaay, Seedorf e compagnia bella.

Ne avremmo da parlarne per ore. Qui una carrellata condita da rimpianti, ora che pian piano cadono le tessere dal grande Indovina Chi delle eliminatorie. Girone I: Italia, Svezia, Egitto, Colombia. Mancheremo noi, e mancherà Zlatan Ibrahimovic. Lui e Gianluigi Buffon avrebbero timbrato il cartellino da ultime leggende, a 40 anni passati da un pezzo. Mancherà una Svezia in ottima forma, che ha dovuto dare la precedenza a sua eccellenza Robert Lewandowski.

Non sarà il Mondiale di Momo Salah, tra le polemiche oggettive sull’odiosa creanza di portarsi i laser allo stadio (come funzionano lì i controlli?) e un Senegal che effettivamente ha meritato, nei 90 minuti di Dakar, di portarsi a casa la qualificazione. In America Latina, il girone a 10 (con 4 dirette al Mondiale e il Perù a giocarsi l’accesso con la vincente del barrage asiatico) porta spesso ad esclusioni eccellenti. Fuori la Colombia: non vedremo Juan Cuadrado, David Ospina, Duvan Zapata. Non vedremo quel James Rodriguez simbolo della parabola discendente dei Cafeteros: tante promesse, ben poco di mantenuto in otto anni.

Chi vorrebbe un altro girone dei rimpianti, eccolo accontentato. Sempre Sudamerica, stavolta è il Cile di Vidal e Alexis Sanchez a guardarsi dalla tv le partite in Qatar. Poca cosa, in effetti, la selezione andina. Nulla in confronto alla saldezza del gruppo di Francia ’98, impreziosita da Ivan Zamorano e il primissimo Matador: Marcelo Salas.
Tornando in Africa, fa rumore l’assenza di una big del calcio nel continente Nero.Non ci sarà la Nigeria, non ci sarà uno dei crack mondiali che risponde al nome di Victor Osimhen. La vera tragedia, la vera follia è quella che -per fortuna sempre più raramente- ha accompagnato l’epilogo dell’1-1 contro il Ghana ad Abuja. Stadio ridotto a un campo di battaglia, con la furia dei tifosi delle Super Eagles riversata sull’incolpevole Joseph Kabungo: il medico zambiano è stato pestato a morte.

In Europa, il fronte degli assenti conterà una tra Scozia e Ucraina. E la Russia: secondo gli irrazionali disegni di chi governa il calcio, sono stati Miranchuk e Golovin a sparare razzi nel cuore di Mariupol.
In ultimo, il forfait della Norvegia di Haaland si pone sul solco dei campioni “nati nel suolo sbagliato”. Rondini che non fanno primavera, talenti assoluti che staccano per distanza i loro connazionali. Viene da pensare a George Best, a George Weah, Jari Litmanen. Leggende che mai hanno assaporato la ribalta Mondiale.

Viene da pensare, soprattutto, che col Mondiale così zeppo di esclusioni, che le rassegne continentali siano un necessario palliativo. La sola e unica chance di gustare in tv sia noi che i Løvene di Haaland, con una formula estesa a 24 squadre e che ha già visto altre realtà medio/piccole prendersi la ribalta: Austria, Ungheria, Islanda, Finlandia.

In quanto a noi: a chiosa di tutto, un’amara constatazione su come ci si disamori sempre più dal calcio, non solo dalla Nazionale. Tifare anche quando le cose si mettono male è materia per forti d’animo e innamorati dei colori, prima ancora che semplici tifosi. E’ pur vero che la società moderna ci espone a così tanti stimoli, che del calcio ormai ce ne frega relativamente. Giusto la serie A, e per chi può qualche serata europea.

 Esserci per il gusto di esserci, di partecipare alla festa, nemmeno tanto per competere. Altro che spirito decoubertiniano. In effetti, l’estate degli anni pari, oltre a offrire bibite gelate e flirt da spiaggia, regala anche questo. Europeo, Mondiale: un maxischermo o una grande tv da bar, a maggior ragione che stiamo per uscire da quella maledizione chiamata Covid-19. Un’emozione da poco, prendendo in prestito Anna Oxa.

Soprattutto, il profumo e l’emozione che solo questi eventi possono aggiungere alla fresca brezza d’estate.

Valerio Campagnoli

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